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Fred Vargas, Sulla pietra, Einaudi (2024)

Abbiamo atteso per anni che la scrittrice francese Fred Vargas tornasse al noir e finalmente eccola riportare in scena il commissario Jean-Baptiste Adamsberg. Un personaggio memorabile nella sua ambivalenza, tanto svagato e inconsapevole quanto infallibile nel venire a capo di ogni delitto e dipanare ogni matassa. Grazie a intuizioni che affiorano lentamente e a percorsi mentali che non padroneggia ma a cui si affida, ottiene successi che disorientano chi tende a sottovalutarlo. I suoi collaboratori hanno invece imparato a fidarsi ciecamente di lui e tra questi vi è anche il suo vice, Danglard. Coltissimo, elegante, razionale, rappresenta il complemento ideale di Adamsberg. Purtroppo qui è una presenza del tutto marginale: resta a Parigi a occuparsi del lavoro corrente, mentre Adamsberg viene inviato in Bretagna in compagnia di altri fidati collaboratori.

È quasi per caso che il nostro Jean-Baptiste riceve questo incarico in Bretagna, proprio là dove lo aveva condotto una precedente inchiesta, felicemente conclusa grazie alle sue intuizioni. Qui aveva collaborato con il commissario di Combourg, Frank Matthieu, e conosciuto alcuni degli abitanti. Quando legge sul giornale di un omicidio avvenuto nello storico villaggio di Louviec, proprio a ridosso di Combourg, non può fare a meno di interessarsi e riprendere contatto con Matthieu. I suoi suggerimenti si rivelano così preziosi da far sì che gli venga ufficialmente assegnato l’incarico di scovare l’assassino. È una situazione delicata, perché tutti gli indizi puntano su Josselin, la persona più famosa e rappresentativa della zona, discendente dello scrittore ottocentesco François-René de Chateaubriand, il precursore del Romanticismo letterario francese, l’autore delle Memorie d’oltretomba, che al castello di Combourg ha vissuto per anni e a cui si deve la fama della cittadina. L’incredibile somiglianza con il celebre avo ha reso Josselin un’attrazione locale e i turisti accorrono a fotografarsi con lui. Questa brutta storia potrebbe infangare il nome di Chateaubriand e rovinare non solo la reputazione di questi luoghi, ma anche il valore delle sue opere. Adamsberg, però, è certo dell’innocenza dell’eccentrico erede ed è convinto di poterlo scagionare; per questo gli viene affidata la direzione dell’indagine, assistito da Matthieu e dalla sua squadra. Intanto gli omicidi si susseguono e assumono una piega inaspettata, che amplierà di molto il campo delle ricerche e il pericolo a cui tutti sono esposti.

Chi ama le atmosfere particolari di Fred Vargas (questo il nome che la scrittrice ha scelto come pseudonimo letterario) le ritroverà facilmente, ma solo in parte. Ciò è dovuto non solo all’assenza di Danglard, con le sue colte dissertazioni e il continuo confronto dialettico con Adamsberg, che rappresenta uno degli ingredienti più gustosi delle storie che li vedono protagonisti. Gli snodi narrativi sono ben costruiti, la trama è intricata al punto giusto e risolta con la stessa naturalezza con cui viene allargata e articolata, ci sono interessanti personaggi secondari, a cominciare dal novello Chateaubriand e dall’oste Johan, il cui locale è il punto di ritrovo dei poliziotti, un uomo generoso, lavoratore instancabile e inseguitore di chimere. Tuttavia alcune figure, come la “mitologica” tenente Violette Retancourt, incredibilmente possente e dolce, rimangono più piatte. Soprattutto è Adamsberg a non essere lo “spalatore di nuvole” che ci aspetteremmo; può sempre contare sui segnali che gli giungono dal fondo della coscienza, idee vaghe e indefinite che maturano nell’oscurità, ma qui dimostra un dinamismo inedito. È più concreto e meno ondivago, più loquace e conseguente nei ragionamenti e la sua proverbiale lentezza e illogicità lasciano il posto a un decisionismo inatteso.

Anche l’azione vera e propria occupa uno spazio maggiore rispetto alle precedenti opere della scrittrice e, parallelamente, minore è la presenza di elementi storici e culturali, assicurati nella prima parte del romanzo dalla figura di Chateaubriand, dalle leggende legate al castello di Combourg e dalle antiche credenze bretoni, specie quelle relative alle ombre, ma quasi del tutto assenti nella seconda metà. Ciò non toglie che il giallo sia accattivante, la lettura piacevolissima e la scoperta del colpevole per nulla scontata.

Francesca